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Cassazione Civile: delega del creditore per l'estinzione del pagamento

Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 13 gennaio 2012, n.390
 

Cassazione Lavoro: no alla responsabilità automatica del committente per infortunio lavoratore

Corte di Cassazione - Sezione Quarta Penale, Sentenza 30 gennaio 2012, n. 3563
 

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06-03-2011

Cassazione Civile: condanna dell'Agenzia delle Entrate al risarcimento dei danni

Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 3 marzo 2011, n.5120

 

 da www.filodiritto.it  

La Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dall'Agenzia delle Entrate avverso la pronuncia del Giudice di Pace che la aveva condannata al risarcimento dei danni provocati per un ritardato annullamento degli avvisi di accertamento. Secondo l'Agenzia "manca nella specie il carattere dell' ingiustizia del danno, in relazione al fatto che l'annullamento in autotutela non si configura quale obbligo bensì come mera facoltà dell'amministrazione, con le conseguenze che il privato non è titolare di alcuna posizione soggettiva in ordine al ritiro dell'atto in positivo".

La Cassazione ha in via preliminare ricordato che, "come del resto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte - tra le altre, Cass. nn.1191/2003; 7531/2009; S.U. 26108/2007 - l'attività della pubblica amministrazione, anche nel campo della pura discrezionalità, deve svolgersi nei limiti posti dalla legge e dal principio primario del neminem laedere, codificato nell'art.2043 c.c., per cui è consentito al giudice ordinario accertare se vi sia stato da parte dell.a stessa pubblica amministrazione, un comportamento doloso o colposo che, in violazione di tale norma e tale principio, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo. Infatti, stanti principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione, di cui all'art.97 Cost., la pubblica amministrazione è tenuta a subire le conseguenza stabilite dall'art.2043 c.c., atteso che tali principi si pongono come limiti esterni alla sua attività discrezionale".

"Sul punto, il giudice di merito ha, sulla base del discrezionale potere valutativo ad esso spettante, ritenuta sussistente la violazione dell'art. 2043 c.c., affermando, con sufficiente e logica motivazione, che "buon diritto ha Tizio di vedersi risarcito il danno causato dalla Pubblica Amministrazione. Infatti, anche sulla Pubblica Amministrazione grava l'obbligo di rispettare il principio fondamentale del neminem laedere, previsto dall'art. 2043 c.c.. Il comportamento tenuto dalla convenuta non può che ravvisare violazione del suddetto principio; infatti, nonostante le diffide, mai l'Agenzia delle Entrate ha provveduto a verificare quanto dall'attore lamentato, e cioè che esso non era tenuto al pagamento delle somme richieste con gli avvisi di accertamento notificati. Solo a seguito di ulteriori sollecitazioni da parte del commercialista dell'attore, l'Agenzia delle Entrate ha ammesso l'errore commesso, provvedendo all'annullamento delle somma richieste. E' ovvio che, nel caso in specie, il comportamento tenuto dalla Pubblica Amministrazione, violando più comuni regole di prudenza e di diligenza, ha causato un danno economico a Tizio, che non può che essere risarcito e che comprende, tra l'altro, le spese sostenute dallo stesso per il commercialista e per le varie trasferte verso l'ufficio della Pubblica Amministrazione, nonché le spese accessorie e consequenziali sostenute per conferire con la Pubblica Amministrazione"".


Contenuto del patto successorio

da www.filodiritto.com  

In materia di patto successorio, richiamando il proprio orientamento, la Corte di Cassazione, cassando la pronuncia di secondo grado, ha ribadito che "Sono patti successori, da un lato, le convenzioni aventi per oggetto una vera istituzione di erede rivestita della forma contrattuale e, dall'altro, quelle che abbiano per oggetto la costituzione, trasmissione o estinzione di diritti relativi ad una successione non ancora aperta e facciano sorgere un vinculum iuris, di cui la disposizione ereditaria rappresenti l'adempimento. Il patto successorio, ponendosi in contrasto con il principio fondamentale (e pertanto di ordine pubblico) del nostro ordinamento della piena libertà del testatore di disporre dei propri beni fino al momento della sua morte, è per definizione non suscettibile della conversione, ex art. 1424 codice civile, in un testamento, mediante la quale si realizzerebbe proprio lo scopo, vietato dall'ordinamento, di vincolare la volontà del testatore al rispetto di impegni, concernenti la propria successione, assunti con terzi (v. Cass., sent. n. 4827 del 1989)".

Avendo riguardo al caso di specie, la Cassazione ha stabilito che: "Nella specie, la configurabilità di un patto successorio nella dichiarazione con la quale la odierna ricorrente assentiva al trasferimento ai due fratelli degli immobili di proprietà del padre, a fronte dell'impegno dei medesimi di versarle la somma di lire 60.000.000, deve desumersi, in particolare, dalla coeva donazione da parte del padre ai fratelli di detti immobili, nonché dal contenuto del testamento, pubblicato nel 1990, ma redatto già nel 1985, in epoca, cioè, largamente precedente la scrittura di cui si tratta, con il quale il de cuius lasciava ai figli maschi anche la quota disponibile, oltre alla legittima, concedendo alla figlia la somma di lire 10.000.000, a titolo di tacitazione dei suoi diritti di legittimaria. Resta, così, sconfessata la conclusione cui è pervenuta la Corte di merito, secondo la quale dalla lettura dell'atto in questione non sarebbe emerso che esso fosse stato stilato con l'intento di disporre dei diritti che ai sottoscrittori potessero spettare sulla successione non ancora aperta del loro genitore, e, così, lo stesso atto non sarebbe stato nullo ex art. 458 codice civile, ma di esso la figlia avrebbe dovuto chiedere l'annullamento una volta pubblicato il testamento del padre: ciò che non aveva fatto".

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.  


 


 
 

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