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DEMANSIONAMENTO E RISARCIMENTO DEL DANNO

CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO - Sentenza 14 aprile 2011, n. 8527
 

Cassazione Lavoro: no alla responsabilità automatica del committente per infortunio lavoratore

Corte di Cassazione - Sezione Quarta Penale, Sentenza 30 gennaio 2012, n. 3563
 

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31-01-2012

Cassazione Lavoro: no alla responsabilità automatica del committente per infortunio lavoratore

Corte di Cassazione - Sezione Quarta Penale, Sentenza 30 gennaio 2012, n. 3563

 

da www.filodiritto.it 

 

In caso di incidente sul lavoro che, nel caso di specie, ha provocato la morte del lavoratore (precipitato dall'alto della copertura di un fabbricato adibito a magazzino garage), verificatosi nel corso di un contratto di prestazione d'opera, non scatta automaticamente la responsabilità del committente.

La Corte di Cassazione ha cassato la pronuncia dei giudici d'appello che avevano confermato il giudizio di responsabilità dei committenti in ordine al reato di omicidio colposo, per avere omesso di verificare l'idoneità tecnico professionale del prestatore d'opera, di non avere fornito al medesimo dettagliate informazioni sui rischi connessi alla precarietà della copertura e di non avere predisposto idonei parapetti atti ad impedire la caduta dall'alto.

Sul piano generale, la Cassazione, dopo aver ricordato che "La responsabilità del committente è espressamente prevista dalla normativa di settore (prima, il d.lgs. n. 626 del 1994, art. 7; ora trasfuso sostanzialmente nel d.lgs. n. 81 del 2008, art. 26)", ha precisato che "con riferimento ai lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione d'opera, come nel caso in esame, è, pertanto vero che il dovere di sicurezza è riferibile, oltre che al datore di lavoro (di regola l'appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche), anche al committente, con conseguente possibilità, in caso di infortunio, di intrecci di responsabilità, coinvolgenti anche il committente medesimo. È, però, altrettanto vero che tale principio non può essere applicato automaticamente, non potendo esigersi dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori. In questa prospettiva, per fondare la responsabilità del committente, non si può prescindere da un attento esame della situazione fattuale, al fine di verificare quale sia stata, in concreto, l'effettiva incidenza della condotta del committente nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori".

In particolare, "vanno considerati: la specificità dei lavori da eseguire (diverso, in particolare, è il caso in cui il committente dia in appalto lavori relativi ad un complesso aziendale di cui sia titolare, da quello dei lavori di ristrutturazione edilizia di un proprio immobile, come nel caso in esame); i criteri seguiti dal committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera (quale soggetto munito dei titoli di idoneità prescritti dalla legge e della capacità tecnica e professionale proporzionata al tipo di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa); l'ingerenza del committente stesso nell'esecuzione dei lavori oggetto dell'appalto o del contratto di prestazione d'opera; nonché la percepibilità agevole ed immediata da parte del committente di eventuali situazioni di pericolo (v. in tal senso, Sezione IV, 8 aprile 2010, n. 150811)".

In sostanza, nel caso di specie, "è mancato, da parte della Corte territoriale, un approfondito e specifico esame proprio su circostanze fattuali rilevanti ai fini della individuazione di profili di colpa nella condotta dei committenti, in relazione ai principi di diritto appena ricordati: 1) nulla è stato detto in ordine alle capacità tecniche ed organizzative della ditta del prestatore d'opera, circostanza questa che, se accertata, rileverebbe in relazione al profilo di colpa concernente la "culpa in eligendo"; 2) neppure risulta se, ed eventualmente in quali termini, vi sia stata concreta ingerenza da parte dei committenti nell'esecuzione dei lavori".


Cassazione Civile: condanna dell'Agenzia delle Entrate al risarcimento dei danni
06-03-2011

 da www.filodiritto.it  

La Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dall'Agenzia delle Entrate avverso la pronuncia del Giudice di Pace che la aveva condannata al risarcimento dei danni provocati per un ritardato annullamento degli avvisi di accertamento. Secondo l'Agenzia "manca nella specie il carattere dell' ingiustizia del danno, in relazione al fatto che l'annullamento in autotutela non si configura quale obbligo bensì come mera facoltà dell'amministrazione, con le conseguenze che il privato non è titolare di alcuna posizione soggettiva in ordine al ritiro dell'atto in positivo".

La Cassazione ha in via preliminare ricordato che, "come del resto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte - tra le altre, Cass. nn.1191/2003; 7531/2009; S.U. 26108/2007 - l'attività della pubblica amministrazione, anche nel campo della pura discrezionalità, deve svolgersi nei limiti posti dalla legge e dal principio primario del neminem laedere, codificato nell'art.2043 c.c., per cui è consentito al giudice ordinario accertare se vi sia stato da parte dell.a stessa pubblica amministrazione, un comportamento doloso o colposo che, in violazione di tale norma e tale principio, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo. Infatti, stanti principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione, di cui all'art.97 Cost., la pubblica amministrazione è tenuta a subire le conseguenza stabilite dall'art.2043 c.c., atteso che tali principi si pongono come limiti esterni alla sua attività discrezionale".

"Sul punto, il giudice di merito ha, sulla base del discrezionale potere valutativo ad esso spettante, ritenuta sussistente la violazione dell'art. 2043 c.c., affermando, con sufficiente e logica motivazione, che "buon diritto ha Tizio di vedersi risarcito il danno causato dalla Pubblica Amministrazione. Infatti, anche sulla Pubblica Amministrazione grava l'obbligo di rispettare il principio fondamentale del neminem laedere, previsto dall'art. 2043 c.c.. Il comportamento tenuto dalla convenuta non può che ravvisare violazione del suddetto principio; infatti, nonostante le diffide, mai l'Agenzia delle Entrate ha provveduto a verificare quanto dall'attore lamentato, e cioè che esso non era tenuto al pagamento delle somme richieste con gli avvisi di accertamento notificati. Solo a seguito di ulteriori sollecitazioni da parte del commercialista dell'attore, l'Agenzia delle Entrate ha ammesso l'errore commesso, provvedendo all'annullamento delle somma richieste. E' ovvio che, nel caso in specie, il comportamento tenuto dalla Pubblica Amministrazione, violando più comuni regole di prudenza e di diligenza, ha causato un danno economico a Tizio, che non può che essere risarcito e che comprende, tra l'altro, le spese sostenute dallo stesso per il commercialista e per le varie trasferte verso l'ufficio della Pubblica Amministrazione, nonché le spese accessorie e consequenziali sostenute per conferire con la Pubblica Amministrazione"".

 


 
 

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