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Cassazione Civile: decreto ingiuntivo e fallimento della s.n.c., effetti nei confronti dei soci

Corte di Cassazione - Terza Sezione Civile, Sentenza 24 marzo 2011, n.6734
 

Cassazione Lavoro: no alla responsabilità automatica del committente per infortunio lavoratore

Corte di Cassazione - Sezione Quarta Penale, Sentenza 30 gennaio 2012, n. 3563
 

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09-10-2011

Cassazione Civile: cessione di quote societarie e divieto di concorrenza

Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 23 settembre 2011, n.19430

 

da www.filodiritto.it 

 

La Corte di Cassazione, confermando la sentenza dei giudici della Corte di appello di Venezia, ha escluso il diritto al risarcimento dei danni del socio ricorrente per la (presunta) violazione del divieto di concorrenza di cui all'articolo 2557, primo comma, Codice Civile non riconoscendo nell'acquisto di una quota societaria (40%) da parte del ricorrente il trasferimento dell'avviamento societario.

A norma dell'articolo 2557 in materia di divieto di concorrenza: 1. Chi aliena l'azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall'iniziare una nuova impresa che per l'oggetto, l'ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell'azienda ceduta. 2. Il patto di astenersi dalla concorrenza in limiti più ampi di quelli previsti dal comma precedente è valido, purché non impedisca ogni attività professionale dell'alienante. Esso non può eccedere la durata di cinque anni dal trasferimento. 3. Se nel patto è indicata una durata maggiore o la durata non è stabilita, il divieto di concorrenza vale per il periodo di cinque anni dal trasferimento. 4. Nel caso di usufrutto o di affitto dell'azienda il divieto di concorrenza disposto dal primo comma vale nei confronti del proprietario o del locatore per la durata dell'usufrutto o dell'affitto. 5. Le disposizioni di questo articolo si applicano alle aziende agricole solo per le attività ad esse connesse, quando rispetto a queste sia possibile uno sviamento di clientela.

La decisione si allinea alla giurisprudenza di legittimità in tema di divieto di concorrenza, per la quale è ormai pacifico ritenere che "la disposizione contenuta nell'articolo 2557 cod. civ. ... non ha il carattere dell'eccezionalità, in quanto con essa il legislatore non ha posto una norma derogativa del principio di libera concorrenza, ma ha inteso disciplinare nel modo più congruo la portata di quegli effetti connaturali al rapporto contrattuale posto in essere dalle parti.

Pertanto, non è esclusa l'estensione analogica del citato art. 2557 cod. civ. all'ipotesi di cessione di quote di partecipazione in una società di capitali, ove il giudice di merito ... accerti che tale cessione abbia realizzato un "caso simile" all'alienazione d'azienda, producendo sostanzialmente la sostituzione di un soggetto ad un altro nell'azienda (cfr. Cass. civ., I sezione n. 27505)".

Nel caso di specie, l'accertamento svolto dai giudici di merito e dalla Cassazione non ha condotto all'applicazione analogica del citato articolo, in quanto è stata esclusa (i) l'equivalenza fra cessione della quota del 40% e l'alienazione dell'intera azienda e (ii) la sostituzione dell'imprenditore cessionario a quello societario.

La Corte, respingendo il ricorso, ha dichiarato la sentenza impugnata conforme ai criteri interpretativi fissati dalla giurisprudenza di legittimità.


Cassazione Civile: risarcimento per danno da prestazione medica "di routine"
07-07-2011

da www.filodiritto.it 

 

La Terza sezione della Suprema Corte continua nella sua opera di definizione del danno non patrimoniale risarcibile.

Nella fattispecie, la Corte d'Appello di Bari aveva riconosciuto alla paziente il diritto al risarcimento del danno causato dal dentista nell'applicazione di una protesi dentaria con la tecnica dell'impiantologia.

Invano il professionista invoca la violazione dell'art. 1176 del Codice civile, sostenendo che la prestazione abbia implicato "problemi tecnici di speciale difficoltà" e che, di conseguenza, debba essere piuttosto applicabile l'articolo 2236 Codice civile, secondo cui il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave.

La Corte di Cassazione preliminarmente definisce l'intervento in questione come "di routine", specificando poi che a fronte di simili prestazioni "spetta al medico provare, il che non risulta essere avvenuto [...] la particolare complessità in concreto dell'evento stesso".

Infine specifica che, se è vero che la responsabilità professionale è più "leggera" quando il danno avviene nell'ambito di operazioni tecnicamente complesse, allo stesso tempo «la diligenza del medico nell'adempimento della sua prestazione professionale dev'essere valutata assumento a parametro la condotta del debitore qualificato, ai sensi dell'art. 1176, secondo comma, cod. civ. (da ultimo, Cass. 1 febbraio 2011, n. 2334)"

 


 
 

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