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Cassazione Civile: nullità del contratto d'ufficio su domanda adempimento o risoluzione

Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Ordinanza interlocutoria 28 novembre 2011, n. 25151
 

DEMANSIONAMENTO E RISARCIMENTO DEL DANNO

CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO - Sentenza 14 aprile 2011, n. 8527
 

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07-07-2011

Cassazione Civile: risarcimento per danno da prestazione medica "di routine"

Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 27 giugno 2011, n. 14109

 

da www.filodiritto.it 

 

La Terza sezione della Suprema Corte continua nella sua opera di definizione del danno non patrimoniale risarcibile.

Nella fattispecie, la Corte d'Appello di Bari aveva riconosciuto alla paziente il diritto al risarcimento del danno causato dal dentista nell'applicazione di una protesi dentaria con la tecnica dell'impiantologia.

Invano il professionista invoca la violazione dell'art. 1176 del Codice civile, sostenendo che la prestazione abbia implicato "problemi tecnici di speciale difficoltà" e che, di conseguenza, debba essere piuttosto applicabile l'articolo 2236 Codice civile, secondo cui il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave.

La Corte di Cassazione preliminarmente definisce l'intervento in questione come "di routine", specificando poi che a fronte di simili prestazioni "spetta al medico provare, il che non risulta essere avvenuto [...] la particolare complessità in concreto dell'evento stesso".

Infine specifica che, se è vero che la responsabilità professionale è più "leggera" quando il danno avviene nell'ambito di operazioni tecnicamente complesse, allo stesso tempo «la diligenza del medico nell'adempimento della sua prestazione professionale dev'essere valutata assumento a parametro la condotta del debitore qualificato, ai sensi dell'art. 1176, secondo comma, cod. civ. (da ultimo, Cass. 1 febbraio 2011, n. 2334)"


Contenuto del patto successorio

da www.filodiritto.com  

In materia di patto successorio, richiamando il proprio orientamento, la Corte di Cassazione, cassando la pronuncia di secondo grado, ha ribadito che "Sono patti successori, da un lato, le convenzioni aventi per oggetto una vera istituzione di erede rivestita della forma contrattuale e, dall'altro, quelle che abbiano per oggetto la costituzione, trasmissione o estinzione di diritti relativi ad una successione non ancora aperta e facciano sorgere un vinculum iuris, di cui la disposizione ereditaria rappresenti l'adempimento. Il patto successorio, ponendosi in contrasto con il principio fondamentale (e pertanto di ordine pubblico) del nostro ordinamento della piena libertà del testatore di disporre dei propri beni fino al momento della sua morte, è per definizione non suscettibile della conversione, ex art. 1424 codice civile, in un testamento, mediante la quale si realizzerebbe proprio lo scopo, vietato dall'ordinamento, di vincolare la volontà del testatore al rispetto di impegni, concernenti la propria successione, assunti con terzi (v. Cass., sent. n. 4827 del 1989)".

Avendo riguardo al caso di specie, la Cassazione ha stabilito che: "Nella specie, la configurabilità di un patto successorio nella dichiarazione con la quale la odierna ricorrente assentiva al trasferimento ai due fratelli degli immobili di proprietà del padre, a fronte dell'impegno dei medesimi di versarle la somma di lire 60.000.000, deve desumersi, in particolare, dalla coeva donazione da parte del padre ai fratelli di detti immobili, nonché dal contenuto del testamento, pubblicato nel 1990, ma redatto già nel 1985, in epoca, cioè, largamente precedente la scrittura di cui si tratta, con il quale il de cuius lasciava ai figli maschi anche la quota disponibile, oltre alla legittima, concedendo alla figlia la somma di lire 10.000.000, a titolo di tacitazione dei suoi diritti di legittimaria. Resta, così, sconfessata la conclusione cui è pervenuta la Corte di merito, secondo la quale dalla lettura dell'atto in questione non sarebbe emerso che esso fosse stato stilato con l'intento di disporre dei diritti che ai sottoscrittori potessero spettare sulla successione non ancora aperta del loro genitore, e, così, lo stesso atto non sarebbe stato nullo ex art. 458 codice civile, ma di esso la figlia avrebbe dovuto chiedere l'annullamento una volta pubblicato il testamento del padre: ciò che non aveva fatto".

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.  


 


 
 

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