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DEMANSIONAMENTO E RISARCIMENTO DEL DANNO

CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO - Sentenza 14 aprile 2011, n. 8527
 

Cassazione Civile: delega del creditore per l'estinzione del pagamento

Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 13 gennaio 2012, n.390
 

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27-03-2011

Cassazione Civile: alle SU dimezzamento dei termini di costituzione nell'opposizione a DI

Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Ordinanza interlocutoria 22 marzo 2011, n.6514

 

da www.filodiritto.it  

 

Non trova pace la questione dei termini di costituzione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. La Sezione Terza della Cassazione ha pronunciato ordinanza interlocutoria con la quale chiede un nuovo intervento delle Sezioni Unite, non aderendo al principio di diritto da queste elaborato con Sentenza 19246/2010.

Riportiamo i passaggi più rilevanti della pronuncia:

"il Collegio rileva che il principio enunciato è estraneo al testo letterale dell'art. 645 cod. proc. civ. e ritiene che esso non trovi supporto in esigenze di carattere sistematico. In primo luogo la norma autorizza, ma non impone, la riduzione del termine di comparizione, nelle cause di opposizione a decreto ingiuntivo, sicché appare singolare e disarmonico che il termine di costituzione debba ritenersi sempre ed obbligatoriamente dimezzato, essendo invece facoltativo avvalersi della riduzione del termine di comparizione. La soluzione si spiegherebbe se vi fosse un principio per cui tutti i termini debbono essere dimezzati, nelle cause di opposizione a decreto ingiuntivo; ma così non è.

- Né sembra corretto trarre argomento dalle disposizioni dettate per il processo ordinario dagli art. 163bis, 2° comma, e 165, 1° comma, cod. proc. civ.: sia perché nel processo ordinario la riduzione del termine di comparizione deve essere appositamente richiesta dalla parte interessata, la quale così accetta consapevolmente la regolamentazione ed i limiti che ne conseguono; sia perché ivi la riduzione del termine di costituzione è espressamente disposta dalla legge (art. 165, 1° comma, cod. proc. civ.); sia perché l'eventuale tardività dell'iscrizione a ruolo non comporta l'improcedibilità della domanda, pregiudicando irrimediabilmente la posizione della parte, ma è sanabile mediante riassunzione (art. 307 cod. proc. civ.).

- In un processo in cui colui che riveste sostanzialmente la posizione di convenuto è esposto ad un provvedimento di condanna sommaria e preventiva; deve proporre le sue difese entro un termine perentorio, a pena del passaggio in giudicato della condanna; non può evitare l'esecuzione provvisoria in mancanza di prova scritta; è soggetto a pronuncia immediata di improcedibilità, nel caso di mancata o tardiva costituzione, ecc., l'introduzione in via meramente interpretativa di ulteriori restrizioni e decadenze - quali la riduzione automatica a cinque giorni del termine di costituzione, a prescindere da ogni consapevole scelta di parte - non pare compatibile con i principi per cui il giusto processo deve svolgersi "in condizioni di parità fra le parti" e deve essere "regolato dalla legge" (art. 111, 1° e 2° comma Cost.). Si aggravano infatti le asimmetrie di disciplina nell'esercizio del diritto di difesa, in danno del solo opponente ed in mancanza di espressa disposizione di legge.

-L'interpretazione qui criticata non appare giustificata neppure da esigenze di garanzia della "ragionevole durata del processo", o del diritto di difesa dell'opposto. Sulla durata del processo non incidono i termini di costituzione, bensì i termini di comparizione. Il diritto di difesa dell'opposto non risulta meno tutelato di quello spettante all'opponente, ove si consideri che il termine di quaranta giorni concesso a quest'ultimo per predisporre le sue difese e notificare l'atto di opposizione potrebbe essere ridotto fino a dieci giorni (art. 641, 20 comma, cod. proc. civ.). Questo Collegio ritiene, pertanto, che la riduzione alla metà dei termini di costituzione dell'opposto debba ritenersi operante (tutt'al più) nei soli casi in cui l'opponente effettivamente si avvalga del diritto di ridurre alla metà i termini di comparizione.  In subordine e in ogni caso, anche ammesso che si voglia confermare l'interpretazione qui criticata, il principio enunciato dalla Corte di cassazione a sezioni unite con la citata sentenza n. 19246 del 2010, non dovrebbe poter essere applicato ai processi svoltisi in data anteriore, allorché era consolidata una diversa interpretazione. Va tenuto presente che, mentre una legge che innovi al diritto preesistente contiene normalmente anche le norme transitorie e la disciplina dei rapporti in corso - e, se non le contiene, è comunque soggetta ai principi generali in materia (art. 10 e 11 delle preleggi, art. 25 Cost., ecc.) - una nuova regola giurisprudenziale nasce del tutto scollegata dai problemi di diritto intertemporale, pur venendo di fatto a rivestire, nella formazione del diritto vivente e concretamente applicato, una rilevanza spesso non inferiore a quella della legge. La mancata, espressa previsione e disciplina del problema si ricollega al principio generale per cui le regole di origine giurisprudenziale, non avendo forza di legge, non possono formalmente vincolare le parti o gli interpreti, quindi possono essere disattese in qualunque momento, precedente o successivo alla loro formulazione. Ma trattasi di un principio che esprime un'esigenza di garanzia e che non può essere usato contro se stesso, sì da condurre a risultati antitetici a quelli per i quali è stato formulato".


Cassazione Civile: risarcimento del danno futuro di soggetto non produttivo di reddito

da http://www.filodiritto.com

 

La Corte di Cassazione si è pronunciata sulla risarcibilità e sulle modalità di liquidazione del danno patrimoniale futuro di soggetti non ancora produttivi di reddito a causa della giovane (o giovanissima) età.

La Corte afferma innanzitutto che "è indubbia la validità generale (e quindi anche nelle fattispecie come quella in esame) del principio dell'onere della prova (art. 2697 c.c.) e del principio secondo cui (ex art. 1226 cod. civ.) è consentita la liquidazione equitativa del danno solo se quest'ultimo è provato (o non è contestato) nella sua esistenza e non dimostrabile, se non con grande difficoltà, nel suo preciso ammontare".

Secondo la Corte "il modo con cui tali due principi sono stati applicati ha talora condotto a rendere in sostanza la liquidabilità del danno in questione meramente teorica ma non concretamente realizzabile in pratica", e aggiunge "È in realtà ovvio che è (quasi) sempre impossibile dare la prova rigorosa, precisa ed incontestabile di un danno futuro; infatti, persino se il danneggiato produceva un reddito al momento del sinistro, l'evoluzione successiva della sua capacità di produrlo (ovviamente nell'eventualità che il sinistro medesimo non si fosse verificato) può essere oggetto solo di un giudizio prognostico meramente probabilistico (potrebbe infatti persino accadere che in concreto tale capacità venga successivamente a mancare) basato su presunzioni; la più importante e basilare delle quali è certamente costituita dall'entità del reddito già prodotto. È palese che tale impossibilità è ancora più evidente nell'ipotesi di danneggiato che al momento del sinistro non produceva reddito, in quanto in tal caso viene meno pure quell'elemento presuntivo che è costituito dall'entità del reddito già prodotto".

Tuttavia, "Ciò non significa però che tale danneggiato debba sempre e comunque restare privato (applicando un errato "rigore" interpretativo che porterebbe in concreto ad escludere sempre la liquidabilità in questione) del risarcimento del danno patrimoniale; che ben può essere liquidato invece in base ad una corretta interpretazione della normativa in questione (in particolare in tema di presunzioni). Va precisato a questo punto che è nell'ordine naturale delle cose che un soggetto ancora in età scolastica, qualora non abbia particolari deficienze, in futuro produrrà un reddito. Si potrà discutere in ordine all'entità di tale presumibile reddito futuro in relazione agli elementi prognostici offerti, con riferimento allo specifico soggetto in questione, dalle risultanze processuali della particolare causa di cui si tratta".

La Cassazione ha così elaborato questo principio di diritto (nel solco di un ormai consolidato filone interpretativo): "In tema di risarcimento di danno patrimoniale subito da una persona minore o comunque in età giovanile, qualora sia accertata non una "micro permanente" ma una percentuale superiore di invalidità permanente, la mera circostanza che il soggetto danneggiato, all'epoca dell'incidente, non avesse una specifica capacità professionale e non svolgesse attività lavorativa non autorizza ad escludere un danno futuro solo sulla base di ciò e senza ulteriori indagini. Al contrario il Giudice, con giudizio prognostico fondato su basi probabilistiche, deve valutare se ed in che misura i postumi permanenti ridurranno la futura capacità di guadagno di detta persona, tenendo conto in primo luogo della percentuale di invalidità medicalmente accertata, della natura e qualità dei postumi stessi, dell'orientamento eventualmente manifestato dal danneggiato medesimo verso una determinata attività redditizia, degli studi da lui portati a termine, dell'educazione ricevuta dalla famiglia nonché delle presumibili opportunità di lavoro che si presenteranno al danneggiato anche in relazione al prevedibile futuro mercato del lavoro; ed in secondo luogo della posizione sociale ed economica di quest'ultima; nonché di ogni altra circostanza rilevante (ferma restando la possibilità per colui che è chiamato a rispondere di dette lesioni di dimostrare che il minore, da quel particolare tipo di invalidità, non risentirà alcun danno o risentirà danni minori rispetto a quelli prospettati). In assenza di riscontri concreti dai quali desumere gli elementi suddetti, (e, perciò, in mancanza della possibilità di ricorrere alla prova presuntiva), la liquidazione potrà avvenire attraverso il ricorso al triplo della pensione sociale. La scelta tra l'uno o l'altro tipo di liquidazione costituisce un giudizio tipicamente di merito ed è, pertanto, insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivata".

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, 30 settembre 2009, n.20943: Risarcimento danno futuro del giovane).

 

 


 
 

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