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Cassazione Civile: nullità del contratto d'ufficio su domanda adempimento o risoluzione

Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Ordinanza interlocutoria 28 novembre 2011, n. 25151
 

Cassazione Civile: delega del creditore per l'estinzione del pagamento

Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 13 gennaio 2012, n.390
 

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27-03-2011

Cassazione Civile: alle SU dimezzamento dei termini di costituzione nell'opposizione a DI

Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Ordinanza interlocutoria 22 marzo 2011, n.6514

 

da www.filodiritto.it  

 

Non trova pace la questione dei termini di costituzione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. La Sezione Terza della Cassazione ha pronunciato ordinanza interlocutoria con la quale chiede un nuovo intervento delle Sezioni Unite, non aderendo al principio di diritto da queste elaborato con Sentenza 19246/2010.

Riportiamo i passaggi più rilevanti della pronuncia:

"il Collegio rileva che il principio enunciato è estraneo al testo letterale dell'art. 645 cod. proc. civ. e ritiene che esso non trovi supporto in esigenze di carattere sistematico. In primo luogo la norma autorizza, ma non impone, la riduzione del termine di comparizione, nelle cause di opposizione a decreto ingiuntivo, sicché appare singolare e disarmonico che il termine di costituzione debba ritenersi sempre ed obbligatoriamente dimezzato, essendo invece facoltativo avvalersi della riduzione del termine di comparizione. La soluzione si spiegherebbe se vi fosse un principio per cui tutti i termini debbono essere dimezzati, nelle cause di opposizione a decreto ingiuntivo; ma così non è.

- Né sembra corretto trarre argomento dalle disposizioni dettate per il processo ordinario dagli art. 163bis, 2° comma, e 165, 1° comma, cod. proc. civ.: sia perché nel processo ordinario la riduzione del termine di comparizione deve essere appositamente richiesta dalla parte interessata, la quale così accetta consapevolmente la regolamentazione ed i limiti che ne conseguono; sia perché ivi la riduzione del termine di costituzione è espressamente disposta dalla legge (art. 165, 1° comma, cod. proc. civ.); sia perché l'eventuale tardività dell'iscrizione a ruolo non comporta l'improcedibilità della domanda, pregiudicando irrimediabilmente la posizione della parte, ma è sanabile mediante riassunzione (art. 307 cod. proc. civ.).

- In un processo in cui colui che riveste sostanzialmente la posizione di convenuto è esposto ad un provvedimento di condanna sommaria e preventiva; deve proporre le sue difese entro un termine perentorio, a pena del passaggio in giudicato della condanna; non può evitare l'esecuzione provvisoria in mancanza di prova scritta; è soggetto a pronuncia immediata di improcedibilità, nel caso di mancata o tardiva costituzione, ecc., l'introduzione in via meramente interpretativa di ulteriori restrizioni e decadenze - quali la riduzione automatica a cinque giorni del termine di costituzione, a prescindere da ogni consapevole scelta di parte - non pare compatibile con i principi per cui il giusto processo deve svolgersi "in condizioni di parità fra le parti" e deve essere "regolato dalla legge" (art. 111, 1° e 2° comma Cost.). Si aggravano infatti le asimmetrie di disciplina nell'esercizio del diritto di difesa, in danno del solo opponente ed in mancanza di espressa disposizione di legge.

-L'interpretazione qui criticata non appare giustificata neppure da esigenze di garanzia della "ragionevole durata del processo", o del diritto di difesa dell'opposto. Sulla durata del processo non incidono i termini di costituzione, bensì i termini di comparizione. Il diritto di difesa dell'opposto non risulta meno tutelato di quello spettante all'opponente, ove si consideri che il termine di quaranta giorni concesso a quest'ultimo per predisporre le sue difese e notificare l'atto di opposizione potrebbe essere ridotto fino a dieci giorni (art. 641, 20 comma, cod. proc. civ.). Questo Collegio ritiene, pertanto, che la riduzione alla metà dei termini di costituzione dell'opposto debba ritenersi operante (tutt'al più) nei soli casi in cui l'opponente effettivamente si avvalga del diritto di ridurre alla metà i termini di comparizione.  In subordine e in ogni caso, anche ammesso che si voglia confermare l'interpretazione qui criticata, il principio enunciato dalla Corte di cassazione a sezioni unite con la citata sentenza n. 19246 del 2010, non dovrebbe poter essere applicato ai processi svoltisi in data anteriore, allorché era consolidata una diversa interpretazione. Va tenuto presente che, mentre una legge che innovi al diritto preesistente contiene normalmente anche le norme transitorie e la disciplina dei rapporti in corso - e, se non le contiene, è comunque soggetta ai principi generali in materia (art. 10 e 11 delle preleggi, art. 25 Cost., ecc.) - una nuova regola giurisprudenziale nasce del tutto scollegata dai problemi di diritto intertemporale, pur venendo di fatto a rivestire, nella formazione del diritto vivente e concretamente applicato, una rilevanza spesso non inferiore a quella della legge. La mancata, espressa previsione e disciplina del problema si ricollega al principio generale per cui le regole di origine giurisprudenziale, non avendo forza di legge, non possono formalmente vincolare le parti o gli interpreti, quindi possono essere disattese in qualunque momento, precedente o successivo alla loro formulazione. Ma trattasi di un principio che esprime un'esigenza di garanzia e che non può essere usato contro se stesso, sì da condurre a risultati antitetici a quelli per i quali è stato formulato".


Corte Costituzionale: no alla sospensione del processo penale per le alte cariche dello Stato

La Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1 della legge 23 luglio 2008, n. 124 (Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato).

Sotto un primo profilo la Consulta ha affermato che:

- Il problema dell'individuazione dei limiti quantitativi e qualitativi delle prerogative assume una particolare importanza nello Stato di diritto, perché, da un lato, come già rilevato da questa Corte, «alle origini della formazione dello Stato di diritto sta il principio della parità di trattamento rispetto alla giurisdizione» (sentenza n. 24 del 2004) e, dall'altro, gli indicati istituti di protezione non solo implicano necessariamente una deroga al suddetto principio, ma sono anche diretti a realizzare un delicato ed essenziale equilibrio tra i diversi poteri dello Stato, potendo incidere sulla funzione politica propria dei diversi organi. Questa complessiva architettura istituzionale, ispirata ai princípi della divisione dei poteri e del loro equilibrio, esige che la disciplina delle prerogative contenuta nel testo della Costituzione debba essere intesa come uno specifico sistema normativo, frutto di un particolare bilanciamento e assetto di interessi costituzionali; sistema che non è consentito al legislatore ordinario alterare né in peius né in melius.

Tale conclusione, dunque, non deriva dal riconoscimento di una espressa riserva di legge costituzionale in materia, ma dal fatto che le suddette prerogative sono sistematicamente regolate da norme di rango costituzionale. Tali sono, ad esempio, le norme che attengono alle funzioni connesse alle alte cariche considerate dalla norma denunciata, come: l'art. 68 Cost., il quale prevede per i parlamentari (e, quindi, anche per i Presidenti delle Camere) alcune prerogative sostanziali e processuali in relazione sia a reati funzionali (primo comma) sia a reati anche extrafunzionali (secondo e terzo comma); l'art. 90 Cost., il quale prevede l'irresponsabilità del Presidente della Repubblica per gli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione; l'art. 96 Cost., il quale prevede per il Presidente del Consiglio dei ministri e per i ministri, anche se cessati dalla carica, la sottoposizione alla giurisdizione ordinaria per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, secondo modalità stabilite con legge costituzionale.

Sotto un secondo profilo, la Consulta ha argomentato come segue:

- La denunciata sospensione è, infatti, derogatoria rispetto al regime processuale comune, perché si applica solo a favore dei titolari di quattro alte cariche dello Stato, con riferimento ai processi instaurati nei loro confronti, per imputazioni relative a tutti gli ipotizzabili reati, in qualunque epoca commessi e, in particolare, ai reati extrafunzionali, cioè estranei alle attività inerenti alla carica. La deroga si risolve, in particolare, in una evidente disparità di trattamento delle alte cariche rispetto a tutti gli altri cittadini che, pure, svolgono attività che la Costituzione considera parimenti impegnative e doverose, come quelle connesse a cariche o funzioni pubbliche (art. 54 Cost.) o, ancora piú generalmente, quelle che il cittadino ha il dovere di svolgere, al fine di concorrere al progresso materiale o spirituale della società (art. 4, secondo comma, Cost.).

È ben vero che il principio di uguaglianza comporta che, se situazioni uguali esigono uguale disciplina, situazioni diverse possono richiedere differenti discipline. Tuttavia, in base alla giurisprudenza di questa Corte citata al punto 7.3.1., deve ribadirsi che, nel caso in cui la differenziazione di trattamento di fronte alla giurisdizione riguardi il titolare o un componente di un organo costituzionale e si alleghi, quale ragione giustificatrice di essa, l'esigenza di proteggere le funzioni di quell'organo, si rende necessario che un tale ius singulare abbia una precisa copertura costituzionale. Si è visto, infatti, che il complessivo sistema delle suddette prerogative è regolato da norme di rango costituzionale, in quanto incide sull'equilibrio dei poteri dello Stato e contribuisce a connotare l'identità costituzionale dell'ordinamento.

Le pur significative differenze che esistono sul piano strutturale e funzionale tra i Presidenti e i componenti di detti organi non sono tali da alterare il complessivo disegno del Costituente, che è quello di attribuire, rispettivamente, alle Camere e al Governo, e non ai loro Presidenti, la funzione legislativa (art. 70 Cost.) e la funzione di indirizzo politico ed amministrativo (art. 95 Cost.). Non è, infatti, configurabile una preminenza del Presidente del Consiglio dei ministri rispetto ai ministri, perché egli non è il solo titolare della funzione di indirizzo del Governo, ma si limita a mantenerne l'unità, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri e ricopre, perciò, una posizione tradizionalmente definita di primus inter pares".

La Corte ha così concluso: "la sospensione processuale prevista dalla norma censurata è diretta essenzialmente alla protezione delle funzioni proprie dei componenti e dei titolari di alcuni organi costituzionali e, contemporaneamente, crea un'evidente disparità di trattamento di fronte alla giurisdizione. Sussistono, pertanto, entrambi i requisiti propri delle prerogative costituzionali, con conseguente inidoneità della legge ordinaria a disciplinare la materia. In particolare, la normativa censurata attribuisce ai titolari di quattro alte cariche istituzionali un eccezionale ed innovativo status protettivo, che non è desumibile dalle norme costituzionali sulle prerogative e che, pertanto, è privo di copertura costituzionale. Essa, dunque, non costituisce fonte di rango idoneo a disporre in materia".

(Corte Costituzionale, Sentenza 19 ottobre 2009, n.262: Sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato - Incostituzionalità).

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