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Cassazione Civile: decreto ingiuntivo e fallimento della s.n.c., effetti nei confronti dei soci

Corte di Cassazione - Terza Sezione Civile, Sentenza 24 marzo 2011, n.6734
 

Cassazione Civile: delega del creditore per l'estinzione del pagamento

Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 13 gennaio 2012, n.390
 

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16-03-2010

Cassazione Civile: risarcimento vacanza rovinata (spiaggia sporca e mare inquinato)

Corte di Cassazione - Sezione Terza, Sentenza 4 marzo 2010, n.5189

 

http://www.filodiritto.com/

 


Vediamo la vicenda, risalente all'agosto del 1999, come riportata dalla Cassazione: "gli attori esponevano di avere acquistato un "pacchetto turistico" offerto da un noto tour operator presso  un'agenzia di viaggi, avente ad oggetto il trasferimento aereo e l'alloggiamento presso un club a Creta, le fotografie del quale, pubblicate sul depliant, riproducevano una bella spiaggia antistante l'albergo ed un bel mare. Invece, giunti sul posto, avevano constatato che la spiaggia era sporca ed il mare diffusamente inquinato da idrocarburi".

Il Tribunale respinge la richiesta di risarcimento dei danni che invece è accolta dalla Corte d'appello, secondo cui: "con l'offerta del pacchetto turistico in esame, la società convenuta ha assunto l'obbligo di consentire agli acquirenti la fruizione di una spiaggia attrezzata e pulita e di un mare effettivamente balneabile, caratteristiche queste diffusamente evidenziate nel depliant illustrativo, che costituisce parte integrante dell'offerta contrattuale... per contro, quel mare e quella spiaggia si sono rivelati in condizioni di inaccettabile sporcizia e disordine... né, del resto, il tour operator può invocare rispetto a tale situazione un esonero di responsabilità, non avendo essa provato che le scadenti condizioni dei luoghi rispetto a quanto pubblicizzato ed offerto derivassero da caso fortuito o forza maggiore e non piuttosto da incuria o insufficiente manutenzione degli stessi (fattori, questi, di cui il venditore del pacchetto turistico deve comunque rispondere nei confronti del cliente)".

La Corte di Cassazione ha innanzitutto rilevato che al caso di specie è applicabile la disciplina di cui al Decreto Legislativo 111/1995 e non quella di cui al Codice del consumo. In particolare, l'articolo 14 del suddetto decreto a norma del quale "in caso di mancato od inesatto inadempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico, l'organizzatore e il venditore sono tenuti al risarcimento del danno (secondo le rispettive responsabilità, salvo prova di impossibilità della prestazione per causa a loro non imputabile); con l'ulteriore previsione che l'organizzatore o il venditore che si avvale di altri prestatori di servizi è "comunque" tenuto a risarcire il danno sofferto dal consumatore, salvo il diritto di rivalersi nei loro confronti".

Secondo la Cassazione, la Corte d'appello ha fatto corretta applicazione della predetta norma, "là dove, dapprima ha ritenuto, il tour operator, quale organizzatore del viaggio, responsabile dell'inadempimento in questione nei confronti degli odierni resistenti sulla base della non corrispondenza tra quanto "promesso" (rectius: contrattualmente pattuito in relazione al livello qualitativo dell'originaria offerta di viaggio "tutto compreso", come risultante da un depliant illustrativo da ritenersi parte integrante del contratto stesso) e quanto realmente "prestato" in sede di adempimento e là dove, in seguito, ha rilevato che lo stesso tour operator non avesse adempiuto l'onere probatorio a suo carico (avente ad oggetto un'eventuale impossibilità della prestazione ad essa non addebitabile)".

In conclusione, la Cassazione statuisce che: "con il contratto avente ad oggetto un pacchetto turistico "tutto compreso", sottoscritto dall'utente sulla base di una articolata proposta contrattuale, spesso basata su un depliant illustrativo, l'organizzatore o il venditore assumono specifici obblighi, soprattutto di tipo qualitativo, riguardo a modalità di viaggio, sistemazione alberghiera, livello dei servizi etc., che vanno "esattamente" adempiuti; pertanto ove, come nel caso in esame, la prestazione non sia esattamente realizzata, sulla base di un criterio medio di diligenza ex. art. 1176 1° comma c.c. (da valutarsi in sede di fase di merito), si configura responsabilità contrattuale, tranne nel caso in cui, come detto, organizzatore o venditore non forniscano adeguata prova di un inadempimento ad essi non imputabile".

Ricordiamo che dal 2005 alla fattispecie in esame è applicabile l'articolo Articolo 93 (Mancato o inesatto adempimento) del Codice del consumo (Decreto Legislativo 206/2005), a norma del quale "1. Fermi restando gli obblighi previsti dall'articolo precedente, in caso di mancato o inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico, l'organizzatore e il venditore sono tenuti al risarcimento del danno, secondo le rispettive responsabilità, se non provano che il mancato o inesatto adempimento é stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a loro non imputabile. 2. L'organizzatore o il venditore che si avvale di altri prestatori di servizi é comunque tenuto a risarcire il danno sofferto dal consumatore, salvo il diritto di rivalersi nei loro confronti".

Sul contratto di organizzazione di viaggio ricordiamo la recente Sentenza 8 ottobre 2009, n. 21388.- 


Cassazione Civile: risoluzione del contratto di esclusiva, responsabilità ed onere probatorio
28-10-2011

da www.filodiritto.it 

 

La Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di risarcimento del danno a seguito della risoluzione unilaterale di un contratto di esclusiva.

Nel caso di specie la società attrice conveniva dinnanzi al giudice la società fornitrice dei prodotti, oggetto dell'accordo di esclusiva, per aver posto in essere "[...] comportamenti pregiudizievoli in violazione del patto di esclusiva, non fornendole le necessarie nuove campionature e gli indispensabili supporti commerciali di vendita, oltre ad escluderla dalle iniziative pubblicitarie ed affidando la commercializzazione dei suoi prodotti a ditte concorrenti".

Il Giudice d'Appello, confermando la decisione del primo grado, "[...] evidenziava che nessuna dimostrazione risultava essere stata fornita dalla società appellante, su cui incombeva il relativo onere probatorio, circa l'esistenza del dedotto patto di esclusiva, non deponendo in tal senso né le prove testimoniali assunte, dichiarate inattendibili dal giudice di primo grado [...], né la documentazione prodotta".

Con i primi due motivi la ricorrente (attrice originaria) adduce la violazione dell'articolo 360 c.p.c. commi 4 e 5 in relazione all'articolo 115 del c.p.c. per non aver ammesso prove ritenute superflue e non inammissibili in primo grado; denuncia inoltre un error in procedendo del Giudice d'Appello per aver riesaminato l'intera questione circa l'esistenza del patto di esclusiva e non le doglianze specifiche dedotte in appello.

Analizzando congiuntamente i due motivi, la Corte afferma che "[...] non viola il principio del tantum devolutum quantum appellatur il giudice che fondi la sua decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall'appellante nei suoi motivi, ovvero esamini questioni non specificamente da lui proposte, ma che appaiono, nell'ambito della censura proposta, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi, costituendone un necessario antecedente logico e giuridico" (Cfr. Cass. n.397/2002; Cass. n. 443/2001); come stabilito già dalle Sezioni Unite (n.13533/2001), spettava alla società appellante fornire la prova dei fatti posti a fondamento della domanda, ossia che il rapporto contrattuale era caratterizzato dal patto di esclusiva, quindi per l'effetto nessuna responsabilità era addossabile alla società appellata in ordine alla risoluzione e conseguente risarcimento del danno.

Gli Ermellini riaffermano inoltre il principio della necessaria autosufficienza del ricorso: "[...] la parte che denuncia, in sede di legittimità, il difetto di motivazione su un'istanza di ammissione di un mezzo istruttorio ovvero sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie e processuali, ha l'onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato o erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse, dato che questo controllo, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, deve poter essere compiuto dalla Corte di Cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative" (Cfr. Cass. n.10913/1998; Cass. n.12362/2006)".

Conclude la Corte per il rigetto del ricorso, osservando che: "la corte territoriale ha posto in rilievo, con una corretta deduzione, che le missive reciprocamente inviate dalle parti, valutate nel loro complesso, non erano obbiettivamente e concretamente idonee a determinare la conclusione di un accordo avente il carattere dell'esclusiva.[...] Essendo pacifico che l'affidamento dell'incarico di vendita fu revocato dalla ricorrente, non soddisfatta dell'evoluzione avuta dai rapporti pluriennali intercorsi fra le parti".

 


 
 

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