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Cassazione Civile: nullità del contratto d'ufficio su domanda adempimento o risoluzione

Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Ordinanza interlocutoria 28 novembre 2011, n. 25151
 

Cassazione Lavoro: no alla responsabilità automatica del committente per infortunio lavoratore

Corte di Cassazione - Sezione Quarta Penale, Sentenza 30 gennaio 2012, n. 3563
 

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14-03-2010

Cassazione Lavoro: non si spiano gli accessi ad internet del lavoratore

Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 23 febbraio 2010, n.4375

 

da www.filodiritto.com


I programmi informatici che consentono il monitoraggio della posta elettronica e degli accessi ad internet dei dipendenti sono necessariamente apparecchiature di controllo da assoggettare alle condizioni di cui all'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori. Lo ha affermato la Cassazione, confermando sentenza di secondo grado (e di primo).

Nel caso di specie, risalente a fatti verificatisi nel 2002, una lavoratrice era stata licenziata a causa dell'utilizzo di internet non giustificato da esigenze d'ufficio, rilevato da un programma di controllo informatico denominato Super Scout. Tribunale e Corte d'appello avevano giudicato illegittimo il licenziamento in quanto i fatti contestati (accesso ad internet) erano stati rilevati e registrati dal suddetto programma in violazione dell'articolo 4 comma 2 dello Statuto dei lavoratori, con la conseguente inutilizzabilità dei dati acquisiti, ritenendo in ogni caso violate le regole di proporzionalità e gradualità delle sanzioni disciplinari.

La Cassazione ha richiamato il proprio orientamento secondo cui "ai fini dell'operatività del divieto di utilizzo di apparecchiature per il controllo a distanza dell'attività dei lavoratori previsto dall'art. 4 legge n. 300 del 1970, è necessario che il controllo riguardi (direttamente o indirettamente) l'attività lavorativa, mentre devono ritenersi certamente fuori dell'ambito di applicazione della norma sopra citata i controlli diretti ad accertare condotte illecite del lavoratore (cosiddetti controlli difensivi), quali, ad esempio, i sistemi di controllo dell'accesso ad aule riservate o gli apparecchi di rilevazione di telefonate ingiustificate (v. Cass. 3-4-2002 n. 4746). Il detto articolo 4, infatti, sancisce, al suo primo comma, il divieto di utilizzazione di mezzi di controllo a distanza sul presupposto - espressamente precisato nella Relazione ministeriale - che la vigilanza sul lavoro, ancorché necessaria nell'organizzazione produttiva, vada mantenuta in una dimensione "umana", e cioè non esasperata dall'uso di tecnologie che possono rendere la vigilanza stessa continua e anelastica, eliminando ogni zona di riservatezza e di autonomia nello svolgimento del lavoro.

Lo stesso articolo, tuttavia, al secondo comma, prevede che esigenze organizzative, produttive ovvero di sicurezza del lavoro possano richiedere l'eventuale installazione di impianti ed apparecchiature di controllo, dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. In tal caso è prevista una garanzia procedurale a vari livelli, essendo la installazione condizionata all'accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna, ovvero, in difetto, all'autorizzazione dell'Ispettorato del lavoro.

In tal modo, come è stato evidenziato da Cass. 17-7-2007 n. 15892, "il legislatore ha inteso contemperare l'esigenza di tutela del diritto dei lavoratori a non essere controllati a distanza e quello del datore di lavoro, o, se si vuole, della stessa collettività, relativamente alla organizzazione, produzione e sicurezza del lavoro, individuando una precisa procedura esecutiva e gli stessi soggetti ad essa partecipi". Con la stessa sentenza, è stato però precisato che la "insopprimibile esigenza di evitare condotte illecite da parte dei dipendenti non può assumere portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore", per cui "tale esigenza" "non consente di espungere dalla fattispecie astratta i casi dei c.d. controlli difensivi ossia di quei controlli diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori, quando tali comportamenti riguardino l'esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro e non la tutela di beni estranei al rapporto stesso". In tale ipotesi si tratta, infatti, comunque di un controllo c.d. "preterintenzionale" che rientra nella previsione del divieto "flessibile" di cui al secondo comma dell'art. 4 citato"".

In definitiva, la decisione della Corte d'appello non è censurabile in quanto "si è attenuta a tali principi e con motivazione congrua e priva di vizi logici ha affermato che "i programmi informatici che consentono il monitoraggio della posta elettronica e degli accessi Internet sono necessariamente apparecchiature di controllo nel momento in cui, in ragione delle loro caratteristiche, consentono al datore di lavoro di controllare a distanza e in via continuativa durante la prestazione, l'attività lavorativa e se la stessa sia svolta in termini di diligenza e di corretto adempimento (se non altro, nel nostro caso, sotto il profilo del rispetto delle direttive aziendali)". ... "ciò è evidente laddove nella lettera di licenziamento i fatti accertati mediante il programma Super Scout sono utilizzati per contestare alla lavoratrice la violazione dell'obbligo di diligenza sub specie di aver utilizzato tempo lavorativo per scopi personali (e non si motiva invece su una particolare pericolosità dell'attività di collegamento in rete rispetto all'esigenza di protezione del patrimonio aziendale".


Principi guida su anatocismo, commissione massimo scoperto, uso piazza.

da www.filodiritto.com 

 

Il Tribunale di Brescia ha fornito delle linee guida per l'interpretazione delle condizioni economiche del contratto di conto corrente bancario, soffermandosi su questioni quali: il a dies a quo per la decorrenza della prescrizione decennale, la nullità degli interessi uso piazza, la sostituzione del tasso legale ex articolo 1284 Codice Civile, la nullità dell'anatocismo trimestrale, la non sostituibilità con quello annuale, l'invalidità delle CMS e delle valute ove non siano specificatamente determinate.

Quanto all'anatocismo, il Giudice del Tribunale ha affermato che:

"La nullità della clausola di anatocismo trimestrale comporta la nullità parziale del contratto ex art. 1419 c.c. ma non dell'intero contratto. Affermata la nullità della clausola regolante la capitalizzazione trimestrale ne deriva che non vi è possibilità di inserzione automatica di clausole prevedenti capitalizzazioni di diversa periodicità in quanto l'anatocismo è permesso dalla legge ma soltanto a determinate condizioni e, in mancanza di valida pattuizione tra le parti, esso rimane non pattuito tra le medesime. Ovviamente la problematica della nullità della clausola anatocistica, come sopra visto, non riguarda i contratti bancari stipulati dopo il 22 aprile 2000 (art. 25 d. lgs. 342/1999) in relazione ai quali è valida la clausola che prevede l'anatocismo sugli interessi debitori purché con periodicità identica a quella degli interessi creditori. Per i contratti stipulati in data anteriore al 22 aprile 2000, invece, l'anatocismo deve ritenersi valido se decorrente dal giorno l luglio 2000 previo adeguamento delle disposizioni alla reciprocità dell'anatocismo tra interessi debitori e creditori".

Quanto all'uso piazza, secondo il Tribunale:

"con riguardo ai contratti stipulati in data anteriore al 9 luglio 1992 si osserva che lo ius superveniens, pur non influendo sulla validità delle clausole inserite in tali negozi, tuttavia impedisce la produzione di ulteriori effetti con essi contrastanti sicché il divieto di rinvio agli usi di cui alla 1. 17.2.1992 n. 154 ancorché non comporti la sopravvenuta nullità della clausola interessi uso piazza impedisce la produzione di ulteriori effetti giuridici nel senso che dalla sua entrata in vigere potrà essere pretesa ex art. 1284 c.c. la sola applicazione del tasso legale di interesse. Ne consegue che, in ogni caso, la conclusione è unica: nullità della clausole in esame per tutti i contratti che le prevedono. La conseguenza di tale nullità è l'applicazione degli interessi legali ex art. 1284 c.c ult. comma in quanto la non debenza di alcun interesse è prevista solo dall'art. 1815 c.c. in caso dì interessi usurari".

Tra le altre questioni esaminate, ricordiamo le seguenti:

- "Per quanto attiene alla mancata contestazione degli estratti conto da parte del cliente la giurisprudenza - sia di merito che di legittimità - ha stabilito, con motivazione convincente e condivisa da questo Tribunale, che essa rileva solo ai fini del riconoscimento dei movimenti ivi documentati senza comportare alcun riconoscimento in ordine alla validità dei rapporti sostanziali a fondamento delle operazioni compiute".

- "la commissione di massimo scoperto laddove il conto corrente sia collegato ad un'apertura di credito non partecipa della natura degli interessi, sicché alla stessa non può applicarsi il divieto anatocistico relativo ai soli interessi e dovrà calcolarsi solo alla chiusura definitiva del conto sempre che sia stata determinata specificamente e per iscritto. ... Laddove, invece, il conto corrente non sia abbinato ad un'apertura di credito allora la commissione deve ritenersi abbia natura di accessorio che si aggiunge agli interessi passivi e ripete dai medesimi la natura cosicché la clausola che prevede la capitalizzazione trimestrale della commissione deve considerarsi nulla alla luce di quanto sopra detto".

 


 
 

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