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Servitù di passaggio ed usucapione

CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE - Sentenza 10 marzo 2011, n. 5733
 

Cassazione Civile: nullità del contratto d'ufficio su domanda adempimento o risoluzione

Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Ordinanza interlocutoria 28 novembre 2011, n. 25151
 

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09-05-2011

Servitù di passaggio ed usucapione

CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE - Sentenza 10 marzo 2011, n. 5733

 

 


Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 9 maggio 1992 B.C., B.M., B.F. e B.L. evocavano in giudizio, dinanzi al Pretore di Bologna, B.F., e premesso di essere titolari a vario titolo dell'immobile censito al NCEU del Comune di Monterenzio foglio 9, nn. 181 e 188, confinante con l'immobile di proprietà del convenuto (foglio 9, n. 472), chiedevano venisse dichiarato l'intervenuto acquisto per usucapione in favore delle loro unità immobiliari della servitù di passaggio di persone e veicoli sul fondo di proprietà del convenuto, oltre alla condanna dello stesso a rimuovere, a sua cura e spese, ogni ostacolo all'esercizio della servitù e al mantenimento in idoneo stato di manutenzione del passaggio, con ordine di trascrizione dell'emananda sentenza nei registri immobiliari; chiedevano, inoltre, la condanna del convenuto al risarcimento dei danni da loro subiti. Instauratosi il contraddicono, nella resistenza del convenuto, il Tribunale di Bologna (già Pretore) adito, accoglieva parzialmente le domande attoree dichiarando acquisito per usucapione il solo passaggio a piedi sul fondo del convenuto, condannando gli attori alle spese processuali.

In virtù di rituale appello interposto da B.C., B. M., B.F. e B.L., con il quale lamentavano che il giudice di prime cure non avesse ritenuto provato anche l'intervenuta usucapione del possesso della servitù di passaggio con veicoli, oltre a dolersi della loro condanna alle spese di lite, proposto dall'appellato appello incidentale, affinchè venisse negata anche la servitù di passaggio pedonale, la Corte di Appello di Bologna respingeva l'appello principale e, in accoglimento di quello incidentale di parte appellata, negava anche l'acquisto di servitù di passaggio pedonale sul fondo di proprietà del B..

A sostegno dell'adottata sentenza, la Corte territoriale affermava che oltre ad avere fornito i numerosi testi esaminati dal Pretore versioni contrastanti circa l'intervenuto passaggio in vari periodi sul terreno di proprietà del convenuto, mancavano i requisiti per potere dichiarare l'intervenuta usucapione di servitù apparente, non avendo nessuno dei testi specificato lungo quale tracciato si svolgeva il transito pedonale e veicolare, segnatamente che lo stesso fosse visibile.

Aggiungeva, inoltre, che non essendosi potuta ricostruire una servitù apparente, portava ad escludere che i passaggi effettuati fossero sintomo significativo del possesso ad usucapionem della servitù di passaggio, rigettato per inciso anche il gravame presentato dagli appellanti in ordine alle spese processuali.

Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Bologna hanno proposto ricorso per cassazione i B., che risulta articolato su due motivi, al quale ha resistito con controricorso il B.

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell'art. 1061 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3, per avere palesemente errato in diritto nel non ritenere nella specie sussistere il requisito della apparenza; con il secondo motivo deducono il difetto di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, per avere omesso inopinatamente di prendere in considerazione la documentazione topografica e la copiosa documentazione fotografica allegata agli atti.

I due motivi vanno esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione, in quanto entrambi attengono alla valutazione delle risultanze probatorie fatta dal giudice distrettuale. Premesso che parte resistente ha eccepito l'inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4, per genericità della doglianza, prospettando una carenza nell'indicazione delle circostanze e degli elementi che hanno avuto incidenza causale sull'errore dedotto, che non può trovare accoglimento in quanto la parte parrebbe mettere sullo stesso piano l'inammissibilità con la manifesta infondatezza, occorre osservare che le censure sono destituite di fondamento poichè esse non colgono la vera ratio decidendi della sentenza impugnata e, quindi, non possono provocarne l'annullamento.

La corte distrettuale non ha negato l'esistenza di un tracciato visibile indicativo della servitù, ma ha basato la sua motivazione soprattutto sul rilievo che il sentiero, formatosi gradualmente e, nel tempo, mutato il tracciato per le mutate esigenze del proprietario (realizzando delle aiuole ovvero un pergolato o con della ghiaia), ai fini del requisito dell'apparenza, non facesse desumere, senza incertezze o ambiguità, di essere stato predisposto al servizio del fondo dominante e ciò fosse esistente e visibile sin dall'inizio del ventennio, necessario al dedotto acquisto per usucapione.

La correttezza della impostazione giuridica accolta dalla Corte di merito è ineccepibile. Infatti, l'acquisto per usucapione della servitù apparente, la sola possibile, ai sensi dell'art. 1061 c.c. presuppone, oltre all'esercizio del corrispondente possesso, anche che le opere visibili e permanenti obiettivamente destinate a tale esercizio siano esistite ed abbiano avuto tale destinazione per tutto il tempo necessario ad usucapire, così che per la usucapione di una servitù di passaggio, non basta provare il decorso del tempo necessario per la usucapione e l'esistenza di un sentiero, ma è necessaria anche la dimostrazione che questo sin dall'inizio del ventennio necessario al possesso avesse i requisiti della visibilità, permanenza e specifica destinazione, potendo, altrimenti, il requisito dell'apparenza essere insorto più o meno di recente e non essendo, perciò, sufficiente a sorreggere il possesso ad usucapionem esercitato prima del suo venire in essere.

Nel caso di specie la Corte territoriale, con un apprezzamento di fatto congruamente motivato e privo di vizi logici, ha analizzato le risultante probatorie, in particolare le prove testimoniali e la descrizione dei luoghi fornita dagli stessi nei dettagli (pagine 7 e 8 della sentenza), ed ha concluso per la inesistenza del requisito dell'apparenza. In altri termini, il giudice di appello ha escluso il requisito dell'apparenza, necessario, ai sensi dell'art. 1061 c.c., per l'acquisto della servitù affermando che le versioni contrastanti fornite dai testi escussi circa l'intervenuto passaggio in vari tempi sul terreno di proprietà del convenuto, mancavano dei requisiti per potere dichiarare l'intervenuta usucapione di servitù apparente, non avendo nessuno dei testi specificato lungo quale tracciato si svolgeva il transito pedonale e veicolare, nonchè, segnatamente, che lo stesso fosse visibile. Le richiamate affermazioni del giudice di appello sono sufficienti di per sè a sorreggere la decisione adottata.

Giova ricordare in proposito che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte "...il requisito dell'apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia (art. 1061 c.c.), si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio e rivelanti in modo non equivoco l'esistenza del peso gravante sul fondo servente, in modo da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di preciso onere a carattere stabile. Ne consegue che non è al riguardo sufficiente l'esistenza di una strada o di un percorso idonei allo scopo, essenziale viceversa essendo che essi mostrino di essere stati posti in essere al preciso fine di dare accesso attraverso il fondo preteso servente a quello preteso dominante e, pertanto, un quid pluris che dimostri la loro specifica destinazione all'esercizio della servitù" (v. Cass., 11 febbraio 2009, n. 3389; Cass., 10 luglio 2007, n. 15447; Cass., 28 settembre 2006, n. 21087; Cass., 17 febbraio 2004, n. 2994). Non v'è dubbio, peraltro, che il giudizio circa la esistenza o meno di segni visibili sul fondo, di opere permanenti obiettivamente destinate all'esercizio della servitù di passaggio, introduce inevitabilmente questioni di fatto, non rilevabili nel giudizio di legittimità, stante la corretta motivazione posta a corredo della decisione.

Le argomentazioni proposte dai ricorrenti non appaiono risolutive in quanto non indicano aspetti contraddittori della motivazione adottata dalla Corte territoriale (che offre una lettura delle risultanze probatorie esente da critiche), ma propongono ancora una volta una propria lettura del complessivo materiale probatorio, diversa rispetto a quella del giudice. Neppure può imputarsi al giudice di avere omesso l'esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio (nella specie il materiale fotografico) ritenuti non significativi, giacchè nè l'una nè l'altra gli sono richieste, mentre soddisfa l'esigenza di adeguata motivazione la circostanza che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazione delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo (Cass., Sez. 1^, 16 luglio 2005, n. 15096; Cass., Sez. 1^, 23 gennaio 2003, n. 996; Cass., Sez. 2^, 30 marzo 2000, n. 3904).

Per tutte le considerazioni sopra svolte, il ricorso deve, dunque, essere respinto.

Al rigetto consegue, come per legge, la condanna di parte ricorrente al pagamento in favore di parte resistente delle spese del giudizio di Cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

 


Cassazione Lavoro: 2 anni per agire contro il terzo che ha causato infortunio al lavoratore
28-02-2010

 

da http://www.filodiritto.com/

 

La Cassazione ha confermato il proprio orientamento secondo cui si prescrive in due anni il diritto del datore di lavoro che agisce per ottenere il risarcimento dei danni patiti a causa della mancata prestazione lavorativa di un proprio dipendente dovuta ad inabilità temporanea per infortunio cagionato da un terzo.

La Cassazione ha ricordato infatti che "Gli esborsi a titolo di retribuzione, effettuati dal datore di lavoro, in adempimento di un dovere fissato dalla legge o dal contratto, in favore del dipendente per il periodo di inabilità temporanea conseguente ad infortunio, e, quindi, senza ricevere il corrispettivo costituito dalle prestazioni lavorative, integrano un danno che si ricollega con nesso di causalità a detto infortunio e come tale deve essere risarcito dal terzo responsabile del fatto medesimo (cfr., ex plurimis, Cass. n. 531/87, preceduta e seguita da giurisprudenza costante). Costituiscono componente di tale danno anche i contributi dovuti dal datore di lavoro agli enti di assicurazione sociale (Cass., sez. un., n 6132/88 e Cass. n. 5373/89). Il datore di lavoro agisce dunque per il risarcimento di un danno direttamente subito per fatto illecito del terzo. Ne consegue che se, come nel caso in scrutinio, il danno sia stato prodotto "dalla circolazione di veicoli di ogni specie, il diritto si prescrive in due anni" (art. 2947, comma 2, cod. civ.).

Secondo la Cassazione "Non contrasta con tale univoca conclusione il principio enunciato da Cass. n. 10827/07 che, in ordine all'azione di regresso dell'impresa designata nei confronti del responsabile ex art. 29 della legge n. 990 del 1969, ha affermato che l'obbligo di solidarietà che l'impresa designata assolve nei confronti della vittima della circolazione non deriva dal fatto illecito ma dall'imputazione ad un soggetto solidale ex lege dell'obbligo risarcitorio, con la conseguenza che tale particolare fattispecie di solidarietà sfugge alle ragioni della prescrizione breve e che trova dunque applicazione quella ordinaria (contra, tuttavia, Cass., nn. 18446/05 e 15357/06). Nel caso del datore di lavoro, infatti, palesemente non ricorre in capo al medesimo un obbligo risarcitorio nei confronti del lavoratore ed il suo credito nei confronti dell'autore dell'illecito - benché non riconducibile alla surrogazione legale di cui all'art. 1203 cod. civ. - trova non di meno la sua genesi nello stesso fatto che ha impedito al lavoratore di prestare la propria attività lavorativa e che ha dunque leso la posizione creditoria del datore di lavoro, tenuto a pagare il lavoratore ma pregiudicato nella possibilità di ricevere la prestazione corrispettiva".



 

 

 


 
 

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