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Cassazione Civile: delega del creditore per l'estinzione del pagamento

Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 13 gennaio 2012, n.390
 

DEMANSIONAMENTO E RISARCIMENTO DEL DANNO

CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO - Sentenza 14 aprile 2011, n. 8527
 

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28-01-2012

Cassazione Civile: delega del creditore per l'estinzione del pagamento

Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 13 gennaio 2012, n.390

 

da www.filodiritto.it 

 

La Suprema Corte, chiamata ad accertare se il diritto di un presidente del consiglio di amministrazione di una società di capitali al compenso pattuito fosse stato estinto dal pagamento fatto al terzo, nel caso di specie a favore di due società che facevano capo al creditore, ha escluso che:

1) detto pagamento possa essere considerato, per presunzione di legge, voluto e quindi conosciuto dallo stesso, con la conseguente estinzione dell'obbligazione gravante sulla società, e

2) il bilancio sottoscritto dal presidente del consiglio di amministrazione possa costituire presunzione legale dell'esistenza e conoscenza dei fatti e degli atti in esso elencati, dispensando da qualunque prova coloro a favore del quale le presunzioni sono stabilite.

In sintesi, queste sono le principali conclusioni a cui è giunta la Corte all'esito del giudizio in esame.

In particolare, la Suprema Corte, respingendo il ricorso della società debitrice, ha confermato la sentenza resa dai giudici della Corte di Appello di Roma che aveva condannato la società a ripetere i pagamenti nell'interesse del creditore, poiché non era stata fornita la prova della delega del pagamento del credito a favore di due (sue) società.

I Giudici di merito avevano quindi correttamente osservato che non era stata raggiunta la prova della delega del pagamento del compenso a favore delle due società e che:
(i) l'unica prova, non sufficiente, offerta dalla società debitrice era costituita dalla sottoscrizione dei bilanci da parte del creditore, dalla quale, secondo la tesi di parte ricorrente, si sarebbe dovuto desumere la conoscenza dei pagamenti e quindi il suo consenso;
(ii) né i bilanci prodotti né le relazioni approvate dal consiglio di amministrazione evidenziavano quei pagamenti;
(iii) quando pure i pagamenti risultassero dalla contabilità sociale della convenuta da ciò non poteva presumersi la conoscenza di queste registrazioni da parte del controricorrente, che - come accertato in corso di causa - non seguiva la contabilità sociale, pur dovendone rispondere giuridicamente;
(iv) nella specie non si trattava di accertare tale responsabilità, bensì la conoscenza acquisita dal creditore dei pagamenti fatti a terzi.

A conferma di quanto sopra, la Corte esclude che "la diligenza richiesta agli amminsitratori, in sede di redazione di bilancio, si estenda alla verifica analitica dei titoli dei pagamenti registrati nel corso dell'anno e della loro efficacia liberatoria, limitandosi la responsabilità degli amministratori, per questa parte, alla corrispondeza delle poste che emergono nel conto economico con la contabilità della società. La stessa correttezza della contabilità, del resto, verte sul fatto che i dati contabilizzati registrino operazioni effettivamente compiute, ma non implicano valutazioni sulla validità dei titoli di pagamento e sulla loro efficacia liberatoria".

Pertanto, continua la Corte, "il bilancio ... vincola i soci e la società, ma non i terzi, qual è lo stesso amministratore nel suo rapporto contrattuale di lavoro con la società. Esso dunque, se approvato e non tempestivamente impugnato ... non comporta che il pagamento al terzo debba ritenersi valido e idoneo ad estinguere l'obbligazione per il creditore che lo richieda in giudizio".

Sulla base di dette considerazioni, la Corte di Cassazione esclude che il pagamento fatto dalla società sia imputabile allo stesso amministratore, "giacché l'immedesimazione organica comporta l'immediata imputazione alla persona giuridica dell'atto del suo organo, e non il contrario. Dalla premessa che la società abbia pagato non può trarsi dunque l'illazione che il pagamento sia imputabile alla persona fisica del suo amministratore (anche unico), che qui deve essere considerato non come organo della società, ma come suo creditore; e lo stesso pagamento fatto o disposto dall'amministratore quale organo della società deve essere valutato, sul piano psicologico, e quindi meramente presuntivo dei rapporti in corso tra le parti, in modo assai diverso, potendo esso costituirse un atto dovuto per la società nei confronti del terzo, per un titolo diverso dalla delega del creditore".

In conclusione, i Giudici della Suprema Corte considerano errato l'assunto per il quale, nel caso di specie, "la prova liberatoria richiesta dalla debitrice riguardasse la conoscenza, da parte dell'amministratore-creditore, del pagamento delle sue competenze alle sue società terze". Tale conoscenza non può dunque determinare l'estinzione dei crediti, per la quale è necessario provare la "positiva manifestazione di volontà" del creditore che i pagamenti fossero fatti ad altri.


Corte Costituzionale: no alla sospensione del processo penale per le alte cariche dello Stato

La Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1 della legge 23 luglio 2008, n. 124 (Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato).

Sotto un primo profilo la Consulta ha affermato che:

- Il problema dell'individuazione dei limiti quantitativi e qualitativi delle prerogative assume una particolare importanza nello Stato di diritto, perché, da un lato, come già rilevato da questa Corte, «alle origini della formazione dello Stato di diritto sta il principio della parità di trattamento rispetto alla giurisdizione» (sentenza n. 24 del 2004) e, dall'altro, gli indicati istituti di protezione non solo implicano necessariamente una deroga al suddetto principio, ma sono anche diretti a realizzare un delicato ed essenziale equilibrio tra i diversi poteri dello Stato, potendo incidere sulla funzione politica propria dei diversi organi. Questa complessiva architettura istituzionale, ispirata ai princípi della divisione dei poteri e del loro equilibrio, esige che la disciplina delle prerogative contenuta nel testo della Costituzione debba essere intesa come uno specifico sistema normativo, frutto di un particolare bilanciamento e assetto di interessi costituzionali; sistema che non è consentito al legislatore ordinario alterare né in peius né in melius.

Tale conclusione, dunque, non deriva dal riconoscimento di una espressa riserva di legge costituzionale in materia, ma dal fatto che le suddette prerogative sono sistematicamente regolate da norme di rango costituzionale. Tali sono, ad esempio, le norme che attengono alle funzioni connesse alle alte cariche considerate dalla norma denunciata, come: l'art. 68 Cost., il quale prevede per i parlamentari (e, quindi, anche per i Presidenti delle Camere) alcune prerogative sostanziali e processuali in relazione sia a reati funzionali (primo comma) sia a reati anche extrafunzionali (secondo e terzo comma); l'art. 90 Cost., il quale prevede l'irresponsabilità del Presidente della Repubblica per gli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione; l'art. 96 Cost., il quale prevede per il Presidente del Consiglio dei ministri e per i ministri, anche se cessati dalla carica, la sottoposizione alla giurisdizione ordinaria per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, secondo modalità stabilite con legge costituzionale.

Sotto un secondo profilo, la Consulta ha argomentato come segue:

- La denunciata sospensione è, infatti, derogatoria rispetto al regime processuale comune, perché si applica solo a favore dei titolari di quattro alte cariche dello Stato, con riferimento ai processi instaurati nei loro confronti, per imputazioni relative a tutti gli ipotizzabili reati, in qualunque epoca commessi e, in particolare, ai reati extrafunzionali, cioè estranei alle attività inerenti alla carica. La deroga si risolve, in particolare, in una evidente disparità di trattamento delle alte cariche rispetto a tutti gli altri cittadini che, pure, svolgono attività che la Costituzione considera parimenti impegnative e doverose, come quelle connesse a cariche o funzioni pubbliche (art. 54 Cost.) o, ancora piú generalmente, quelle che il cittadino ha il dovere di svolgere, al fine di concorrere al progresso materiale o spirituale della società (art. 4, secondo comma, Cost.).

È ben vero che il principio di uguaglianza comporta che, se situazioni uguali esigono uguale disciplina, situazioni diverse possono richiedere differenti discipline. Tuttavia, in base alla giurisprudenza di questa Corte citata al punto 7.3.1., deve ribadirsi che, nel caso in cui la differenziazione di trattamento di fronte alla giurisdizione riguardi il titolare o un componente di un organo costituzionale e si alleghi, quale ragione giustificatrice di essa, l'esigenza di proteggere le funzioni di quell'organo, si rende necessario che un tale ius singulare abbia una precisa copertura costituzionale. Si è visto, infatti, che il complessivo sistema delle suddette prerogative è regolato da norme di rango costituzionale, in quanto incide sull'equilibrio dei poteri dello Stato e contribuisce a connotare l'identità costituzionale dell'ordinamento.

Le pur significative differenze che esistono sul piano strutturale e funzionale tra i Presidenti e i componenti di detti organi non sono tali da alterare il complessivo disegno del Costituente, che è quello di attribuire, rispettivamente, alle Camere e al Governo, e non ai loro Presidenti, la funzione legislativa (art. 70 Cost.) e la funzione di indirizzo politico ed amministrativo (art. 95 Cost.). Non è, infatti, configurabile una preminenza del Presidente del Consiglio dei ministri rispetto ai ministri, perché egli non è il solo titolare della funzione di indirizzo del Governo, ma si limita a mantenerne l'unità, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri e ricopre, perciò, una posizione tradizionalmente definita di primus inter pares".

La Corte ha così concluso: "la sospensione processuale prevista dalla norma censurata è diretta essenzialmente alla protezione delle funzioni proprie dei componenti e dei titolari di alcuni organi costituzionali e, contemporaneamente, crea un'evidente disparità di trattamento di fronte alla giurisdizione. Sussistono, pertanto, entrambi i requisiti propri delle prerogative costituzionali, con conseguente inidoneità della legge ordinaria a disciplinare la materia. In particolare, la normativa censurata attribuisce ai titolari di quattro alte cariche istituzionali un eccezionale ed innovativo status protettivo, che non è desumibile dalle norme costituzionali sulle prerogative e che, pertanto, è privo di copertura costituzionale. Essa, dunque, non costituisce fonte di rango idoneo a disporre in materia".

(Corte Costituzionale, Sentenza 19 ottobre 2009, n.262: Sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato - Incostituzionalità).

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